domenica 26 aprile 2015

Grazie


La mia mostra "בראשית in principio" si è conclusa domenica 19 aprile.
E' stata una magnifica esperienza, tante belle persone mi hanno fatto dono della loro preziosa presenza, della stima e dell'amicizia. Ancora grazie a tutti quanti.










mercoledì 15 aprile 2015

Giovedì 16 aprile alle 20,00 a Sarnico



Domani  
giovedì 16 aprile alle ore 20,00 a Sarnico 
presso il Centro Culturale Sebinia, 
nella ex chiesetta Nigrignano in Via Vittorio Veneto n° 42
 si inaugura la mia personale di pittura

בראשית"  in principio"


Presentazione di Massimo Rossi.


All'inaugurazione ascolteremo anche “Frammenti Poetici” attraverso le voci di Claudio Belotti e Francesco Vecchi della Compagnia Teatrale “Il Capannone” e "Commenti Sonori” a cura dei musicisti Giuseppe Fanciullo e Antonio Fornasari.

La mostra resterà aperta venerdì dalle ore 16,00 alle 21,00;

sabato e domenica dalle ore 10,00 alle 12,00 e dalle 15,00 alle 21,00



Ciro Indellicati



martedì 7 aprile 2015

BERESHIT - Note sulla mia imminente mostra.

Gli ebrei traducono la prima parola delle prime pagine del libro divino che noi intitoliamo Genesi, con Bereshit, “in principio”.
Da qui è partito il mio ultimo lavoro, e dalla suggestione del testo poetico “La terra desolata” di Thomas S. Eliot, si è allargato alla esegesi del “libro della Genesi” di Gianfranco Ravasi, per trovare infine una forte e precisa consonanza in un altro poema di Eliot, “Quattro quartetti”.
Parallele alla lettura di questi testi scorrono, come un fiume carsico, le parole di Edmond Jabés.

Sul silenzio dell’essere, sul nulla, il “vento” divino avvia la grande avventura della “separazione” e della “ornamentazione”.
Trasformazione, morte e rinascita in un cosmo, “luogo segreto dello spirito”, nel quale tempo e spazio sono sospesi e trascesi e si condensano in un eterno presente.
La creazione avviene attraverso la Parola e al di là della parola.

Nel racconto della Genesi, tra i versi dei poeti, si sono solidificate sensazioni e suggestioni che hanno cominciato a lasciare i loro segni, hanno preso forma e colore e si sono trasformate in immagini…
Così, nell’arco degli ultimi anni, si è andato ad accumulare questo nucleo di opere.
Il linguaggio pittorico che ho utilizzato è in continuità con la ricerca da me intrapresa nella precedente serie di dipinti riuniti nella mostra “Scrivendo pittura” curata da Emiliano Bona,  tenutasi a Sarnico nel 2010.
La “cifra” che connotava quel percorso si è, in questo mio nuovo lavoro, decantata ed evoluta anche nell’uso di supporti (alcuni di dimensioni impegnative) e strumenti tradizionali come tele e colori ad olio, senza però distaccarsi mai dai riferimenti più propriamente materici e gestuali che caratterizzano il mio bagaglio espressivo.

Ma, per rendere esplicita la complessità del percorso intorno al quale sono cresciute queste opere, si rende necessario fornire una chiave di interpretazione che altrimenti, la sola dimensione visiva, rende di difficile lettura.

Risalendo al concetto originario di “estetica” come “scienza della conoscenza sensoriale”, ho pensato di proporre nella serata inaugurale una breve presentazione “multisensoriale”  sviluppata attorno alle mie opere, ricorrendo ad una varietà di stimoli percettivi e ad una pluralità di linguaggi per restituire attraverso la molteplicità di sensazioni, l’essenza di unità e separazione, “vita e distanza dalla vita” che stanno in quel “in principio”, Bereshit.
L’idea è, quindi, di intrecciare le mie immagini con testi e musiche, che possano suscitare negli osservatori-spettatori emozioni e meditazioni, senno e poesia.

Ciro Indellicati

lunedì 6 aprile 2015

bereshit - in principio



בראשיתIn principio


C’è una doppia e assoluta coincidenza tra la riflessione artistica di Ciro Indellicati e il tema biblico-creativo da lui indagato. Se, innanzitutto, l’arte è una ri-formazione, ossia la ricerca di una nuova forma sensibile delle cose e del mondo secondo l’ispirazione individuale, ecco che la pittura dell’artista offre senza dubbio una visione inedita della materia primordiale (l’aristotelica pròte ùle, si potrebbe dire).
In secondo luogo la ri-formazione iconografica di Ciro Indellicati va a coincidere anche con l’eterna ri-formazione del mondo nella prospettiva biblica di Bereshit: la prima parola della Bibbia significa, infatti, non semplicemente in principio, ma anche (e più precisamente) in ogni principio. Prima di Bereshit c’è nulla. Bereshit vuol dire il principio di tutti i principi, il punto zero, ma anche l’attimo perfetto di coincidenza del principio e della fine di tutto. Che cosa è, dunque, l’arte di Ciro Indellicati? Non è un semplicistico atto di fede o un più ironico (o terribilmente serio) “auto da fé” vagamente psicanalitico. Così pure l’astrofisica non c’azzecca (quest’ultima rimane vittima del suo infinitesimale “scarto temporale” per cui il suo bereshit rimane un beffardo e irrisolto chiodo fisso). Per Ciro Indellicati c’è un problema molto serio dentro al quale ci muoviamo: è il problema dei problemi, la domanda delle domande. E l’interrogativo è il seguente: qual è il senso dell’esistente? Una vera provocazione sui massimi sistemi, non c’è che dire.
Ma l’arte di Ciro Indellicati non cade nella trappola dell’imbastardimento linguistico e non cede alla lusinga semplificatoria di sofismi da sagrestia. Oriente e Occidente si uniscono nella comune nota culturale di Bereshit che rappresenta, così, il nostro termine letterario più antico (non inteso in senso cronologico).
Bereshit è “poesia della domanda prima”. È fame di risposte.
E Ciro Indellicati dimostra, in tal senso, la sua ortodossia poetico-letteraria definitiva e pura. Come un redivivo monaco bizantino spacca, sovente, il buio della tela con la non tinta dell’oro, lo squarcio dell’eterno nella contingenza del mondo.
I colori sono quelli della tradizione iconico-orientale più severa e classica: il verde o il blu. Dio è blu, non c’è dubbio. Dio “soffia” blu. Straordinario. Lui, Ciro, il monaco-pittore e abitatore del nostro deserto di senso, lo si vede, talvolta, camminare lentamente, poiché l’icona non è affare da poco. E l’icona presuppone la chiamata a raccolta di tutte le facoltà fisiche e intellettuali per cui anche il corpo e il passo rallentano.
La concentrazione diventa un turbine e un’ossessione. A volte è un pensiero di settimane o di mesi. È la vertigine dei pensieri. Poi d’improvviso il pennello inizia a correre veloce e parla, quasi, con le lettere dell’alfabeto e degli alfabeti.
Questo perché Dio crea parlando. A Dio non servono i talismani, i formulari ampollosi o la bacchetta magica. Dio viaggia leggero. Il pittore diviene, quindi, instrumentum Dei. La verità di Ciro è sacra e potente. Ontologicamente in perfetta tensione ed equilibrio anche nella multidirezionale possibilità filosofica. E da buon bizantino Ciro Indellicati predilige l’astrazione (perché anche la lettera è astrazione di una volontaria sollecitazione nervosa dell’ugola).
Figurare liberamente il volto di Dio non è mai stato nelle corde della tradizione orientale. Simboleggiarne la verità, tuttavia, è un anelito che va ben oltre la tradizione ebraico-cristiana.
Lo sforzo è supremo. Il battito cardiaco accelera, la mente è confusa. Poi all’improvviso il pennello inizia a correre senza posa.
Massimo Rossi

venerdì 3 aprile 2015

Jabés e il libro della sovversione



In principio era il Tutto e il Tutto era il verbo sacro e il verbo sacro era il silenzio infinito che nessuno stormire e nessun suono e nessun soffio s’erano levati a turbare.
Ma appena concepito dall’uomo, il Tutto s’inabissò nel Nulla e il Nulla era il vocabolo e il vocabolo era il libro e il libro era il turbamento.
Riusciremo mai a conoscere l’estensione di tale turbamento?
L’atto dello scrivere sfida ogni distanza. Del resto l’ambizione di ogni scrittore non è quella di elevare l’effimero, il profano, all’altezza del duraturo, del sacro?
La scrittura, di opera in opera, è lo sforzo che i vocaboli compiono per estenuare il dire – l’istante – onde potersi rifugiare nell’indicibile. Il quale non è ciò che non può essere detto, ma proprio ciò che è stato detto in modo così intimo e totale che ormai dice solo questa intimità, questa totalità.
A questo punto, profano e sacro appaiono come preludio e termine di uno stesso impegno: quello che per lo scrittore consiste nel vivere la scrittura fino a quella soglia del silenzio su cui sarà da essa abbandonato. Insostenibile silenzio: l’universo, sorpreso, vi emerge, per perdersi a sua volta nel vocabolo, da esso assorbito.
Se si ammette che ciò che rede inquieti, che dà ansia, che affannosamente rimette tutto in questione, è, fin dall’inizio, il profano, allora si deve dedurre che in qualche modo il sacro, con la sua sdegnosa permanenza, da una parte è quel è quel che ci paralizza dentro noi stessi, una specie di morte violenta dell’anima, dall’altra è l’esito deludente del linguaggio, l’ultimo vocabolo pietrificato.
Per questo, solo in relazione al profano, e attraverso di esso, è possibile accedere al sacro. Il quale non si presenta affatto come sacro, ma sacralizzazione d’un profano ebbro di oltrepassare se stesso, insomma come indefinito prolungamento del minuto, e non come eternità estranea dell’istante;
poiché la morte è un affare per il tempo.